Difficile a credersi, eppure dietro a quell’inconfondibile aplomb, a quella freddezza accademica, si cela un professore capace di strappare sorrisi e quasi di commuoversi. “È raro provare un’emozione incontenibile, eppure è quello che mi accade ora”. Esordisce proprio così, Mario Monti, nell’old theatre della London School of Economics, di fronte a una platea fitta di studenti accorsi per sentire la lezione del professore, con tanto di biglietti. Tutti esauriti, in meno di 12 ore, e una seconda sala con diretta su maxischermo allestita al volo e anch’essa stipata. Nemmeno fosse una finale del Chelsea.
La distanza dal suo predecessore è abissale e sembra passata un’era geologica da quando, in quelle stesse aule, soltanto pochi mesi prima, ogni riferimento all’Italia veniva inevitabilmente seguito da sogghigni non velati o da quel riso amaro tipico del belpaese. Ora qualcosa pare sia definitivamente cambiato. Sul palco della LSE, c’è un primo ministro italiano, che parla in inglese – ed è già una conquista – scusandosi per “l’accento provinciale”.
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