Pubblicato sul Fattoquotidiano – 22 maggio, 2013
C’è un problema di fondo nel dibattito sul controllo del web in Italia: l’incapacità o la non volontà di gran parte dei politici di comunicare con i cittadini. Un problema di lunga data, che ricorre particolarmente durante le campagne elettorali, e che puntualmente riemerge quando in ballo ci sono questioni legate alla libertà di espressione. E’ chiaro che il concetto di libertà di espressione è cambiato radicalmente con l’apertura dei nuovi canali di comunicazione permessi dalla rete. Così come è chiaro che non è tutto oro colato ciò che transita su questi canali: la rete è semplicemente un mezzo, ciò che fa la differenza è il modo in cui lo usiamo.
In questo contesto, però, l’impostazione tutta italiana del dibattito sul controllo della rete risulta insensata o quantomeno anacronistica. Dopo l’intervento della presidente della Camera, Laura Boldrini, è seguita la presa di posizione del presidente del Senato, Pietro Grasso a favore “leggi contro i reati commessi sul web”, mentre alcuni giorni il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, ha concesso alla Procura di Nocera Inferiore l’autorizzazione a procedere contro 22 utenti del blog di Beppe Grillo accusati di vilipendio nei confronti del Capo dello Stato.
Le conseguenze di questi approcci istituzionali – soprattutto se supportate da sentenze “ammazza blog” come quella recente contro Lucia Rando – sono preoccupanti e lasciano prefigurare nuove restrizioni alla libertà di espressione. Come scrive il professore dalla LSE Bart Cammaerts, “una volta che vengono applicati un regime e una logica di controllo e repressione dei contenuti online, come possiamo essere sicuri che questo meccanismo non verrà usato per mettere a tacere le voci e le idee di minoranza o per monitorare e sopprimere le pratiche comunicative dei movimenti di protesta?”.
Ma al di là di queste derive allarmanti, dietro l’urgenza di controllare la rete si celano ancora una volta la paura e l’incapacità di gran parte della politica di aprirsi a un vero dialogo con i cittadini. Come scrive Guido Scorza, avvocato esperto di diritto digitale, “il progressivo rilievo della comunicazione online ha generato un crescente smarrimento delle istituzioni”. Non si riesce a cogliere il fatto che il web ha cambiato completamente il paradigma della libertà di espressione legato al vecchio mondo della sola carta stampata. Soltanto nell’ottica di quel paradigma obsoleto si può pensare, ad esempio, che qualunque blog amatoriale sia obbligato a rettificare una notizia entro 48 ore dalla notifica, pena multe salatissime.
È chiaro che gli effetti negativi della piazza digitale non mancano (a partire dal proliferare di insulti, minacce, commenti razzisti e quant’altro). Eppure, ciò che la politica italiana non riesce (o non vuole) cogliere sono le innumerevoli possibilità di dialogo, apertura, trasparenza e partecipazione che questa piazza offre. Il problema, tuttavia, è che per instaurare un dialogo vero bisogna essere in due: non basta parlare, ma bisogna anche saper ascoltare e, se necessario, essere in grado di rispondere. Un esercizio non facile, che comporta costante impegno e fatica. Molto meno faticoso invece mettere il silenziatore alla rete, tapparsi le orecchie e rifugiarsi dietro all’immancabile “non ci hanno capiti”, come avviene, puntualmente, dopo ogni sconfitta elettorale.