Il professore alla London School of Economics parla del ruolo della UE fra Cina e Stati Uniti
Senza cambiamenti strutturali “l’Europa potrebbe scomparire” dallo scacchiere mondiale, schiacciata dalla supremazia di Cina e Stati Uniti. È la sconfortante previsione tracciata da Romano Prodi durante un incontro alla London School of Economics giovedì 2 giugno 2011. Come l’Italia del Rinascimento, a causa delle lacerazioni interne, è passata da paese più avanzato al mondo a pedina marginale a livello internazionale, così, secondo l’ex presidente della Commissione europea, l’Europa potrebbe fare la stessa fine. “Nonostante sia prima al mondo per PIL ed esportazioni, l’Europa è inesistente nella battaglia per la leadership mondiale”, ha detto il professore di fronte a una folta platea di studenti e professori.
Tornato fra quelle stesse mura dove quasi cinquant’anni è stato studente, Prodi ha tracciato una visione dell’Unione europea a tinte fosche, dove a fare da padrone è “l’ansia di continue elezioni” che impedisce di prendere decisioni oltre il breve termine. A differenza del cancelliere Kohl, che scelse di abbandonare il marco per passare all’euro contro la volontà della maggioranza dei tedeschi, oggi “non ci sono più politici che vogliono rischiare la propria carriera prendendo decisioni impopolari”. Tutto questo rischia di condurre alla “fine della politica” o a quella che il professore chiama “democrazia barometrica”, dove sono i sondaggi d’opinione a dettare le scelte fondamentali.
Anche per questi motivi, secondo Prodi, la crisi della Grecia, se non fosse avvenuta in concomitanza con le elezioni in Westfalia che avevano determinato l’operato della Merkel, si sarebbe potuta risolvere facilmente, perché “si trattava di un piccolo problema” in proporzione alle dimensioni europee. Ora, invece, nonostante gli sforzi di Atene per ripianare i bilanci, per Prodi “il peso della crisi è troppo grande e la Grecia deve necessariamente essere aiutata”.
In un’ottica futura, il professore non vede altra soluzione che “un mondo multipolare”, dove l’Europa “deve mantenere fortemente un ruolo di intermediario fra la Cina e gli Stati Uniti”. Il rischio, infatti, è che si instauri una relazione a due, fra gli Stati Uniti che non intendono perdere il proprio predominio mondiale e la Cina che è “fortemente attratta dal ruolo degli Stati Uniti”. In questo quadro, conclude Prodi, senza un cambiamento radicalo – come, ad esempio, l’elezione diretta del presidente della Commissione europea da parte dei cittadini – l’Europa potrebbe seguire la parabola del Rinascimento italiano: da “laboratorio” dell’innovazione mondiale, a meraviglioso “pezzo da museo”.